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Intervista a Andrea Bartolozzi

Viterbese, classe 1965, Andrea Bartolozzi vive il mondo Canottieri intensamente e in ruoli molto diversi tra loro. Non è infatti solo uno dei membri del nostro Consiglio direttivo, responsabile delle attività del Polo Sportivo, ma fa anche parte dei Master di canottaggio ed è padre di due atlete della nostra società: Giulia, che gareggia nella vela con i 29er e Flavia della squadra nuoto. Nel suo curriculum ha una laurea in Ingegneria Nucleare e una importante esperienza a Londra, ma da 17 anni ormai è una delle colonne portanti della Centrale del Latte di Brescia nel doppio ruolo di Direttore Generale e Commerciale.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il suo punto di vista sulla Canottieri.

Andrea, iniziamo da una cosa che ci ha colpito nel tuo modo di raccontarti: tu ti definisci salodiano per scelta. Perché?
Per un  motivo molto semplice: sono convinto che Salò sia la più bella località del Lago di Garda. Qui io e la mia famiglia abbiamo trovato il nostro equilibrio, il giusto bilanciamento tra vita privata, studio e lavoro. La vera regista dell’operazione è stata mia moglie Michela, che da sempre è il motore delle nostre scelte.
È iniziato tutto con una casetta per il fine settimana, qualche tempo fa, dopo tantissimi anni fatti di weekend al mare. Poco alla volta abbiamo capito quanto poteva essere piena la vita qui, con lo sport che ha finito per coinvolgerci tutti e darci nuove motivazioni per far parte di questa comunità.
La prima è stata mia figlia Giulia con la vela, poi è stata la volta di Flavia nella squadra di nuoto. Io e Michela siamo arrivati dopo e adesso facciamo parte della squadra master di canottaggio.

Hai vissuto in grandi città, in Italia e all’estero. Non ti spaventa l’orizzonte della provincia?
Quando ero più giovane cercavo gli stimoli che ti da la grande città, oggi per me sono invece più importanti le relazioni che solo una comunità più coesa può offrire. Non credo sia un problema nemmeno per le mie tre figlie vivere qui, perché non considero Salò provincia. Un po’ per l’apertura che le dà l’essere una cittadina turistica e quindi frequentata da persone provenienti da diverse parti del mondo. Un po’ perché Salò è indissolubilmente legata alla Canottieri e un ambiente sportivo non è mai provinciale.

Tu sei anche membro del Consiglio direttivo e sponsor della società con la Centrale del Latte di Brescia. Se ti chiedessimo di fare una sintesi tra punti di vista così diversi che immagine della Canottieri ne uscirebbe?
L’immagine di un luogo che io considero fondamentale per il mio benessere. Mi spiego meglio: proprio come ripetiamo in Canottieri, sono convinto che lo sport sia sempre una buona idea. Una pratica che non concorre solo alla salute del corpo ma anche a quella della mente. In questo contesto, essere all'interno di un’organizzazione sportiva come genitore, consigliere, atleta e sponsor per me è motivo di grande orgoglio ma anche di serenità.
Salò e la Canottieri mi hanno dato un entusiasmo che mi ha aiutato nella vita privata ma anche in una quotidianità professionale che, per quanto stimolante, talvolta è può essere ripetitiva. Ecco un altro contributo fondamentale dello sport: insegna la capacità di migliorarsi continuamente, affrontando e superando la fatica ma anche quella noia che è connessa alla ripetitività del gesto atletico. Tradotto in altri ambiti significa avere sempre presente l’obiettivo finale che vogliamo raggiungere e impiegare tutte le nostre energie per ottenerlo.

Come è nata la passione per il canottaggio?
In una tarda serata d’agosto io e mia moglie eravamo in un bar sulla spiaggia e siamo rimasti affascinati dalle barche che vedevamo in lontananza e da quel movimento che ci sembrava così semplice e, allo stesso tempo, romantico.
Così abbiamo deciso di provare insieme questa esperienza. Michela ha una naturale predisposizione al canottaggio, più di me che ho però una buona tenuta atletica e una caparbietà che mi spinge a non arrendermi mai. Da quando siamo entrati nel gruppo master della Canottieri poi la nostra prospettiva è cambiata, perché sentiamo di far parte di una squadra di persone fantastiche.

Come vivete in famiglia la passione comune per la Canottieri?
È parte della nostra quotidianità, e allo stesso tempo un argomento di cui parliamo molto.
Tutti noi cerchiamo di dare alla Canottieri le nostre energie migliori. Giulia si impegna molto fisicamente, soprattutto per la gestione delle  sue trasferte. Flavia ha la sua routine quotidiana che la occupa fino alle sette di sera in piscina. Noi invece siamo sempre in contatto con il nostro gruppo master. 

 

Tu sei indubbiamente un uomo d’azienda, tutta la tua storia lavorativa lo dimostra. C’è qualcosa della Canottieri che porteresti nel tuo lavoro?
La perseveranza e la ricerca del continuo miglioramento di se stessi. È un aspetto che mi ha colpito osservando mia figlia Flavia e venendo a contatto con diversi altri atleti.
Questo gareggiare prima con i propri limiti che con gli avversari è una delle cose più preziose che ho cercato di portare in azienda e trasmettere ai miei collaboratori. 
Si tratta di un aspetto chiave che io metto insieme a un altro elemento: l'appartenenza.
Vista in chiave unicamente aziendale, di marketing direi, è una cosa che non ho mai condiviso perché lo percepivo come un concetto artificiale, forzato. Qui in Canottieri invece ho capito che sentirsi parte di un’organizzazione può essere un sentimento profondo e autentico perché fondato su valori condivisi e non su una strategia di comunicazione effimera. 

E nella tua vita privata come influisce la Canottieri?
Nella vita privata la Canottieri mi dà tanto, perché aiuta me e mia moglie a crescere le nostre tre figlie, Diletta, Giulia e Flavia, dando loro la consapevolezza che nulla avviene per caso, ma che ti devi impegnare per raggiungere un obiettivo.

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